Astor Piazzolla: tra rivoluzione e malinconia. Nel docu di Daniel Rosenfeld "Piazzolla, la rivoluzione del tango", il figlio apre gli archivi di famiglia

11.03.2021

Quello che commuove di più in questo documentario, pieno di musica malinconica dedicato ad Astor Piazzolla, è la devozione del figlio e il suo sguardo triste che segue, passo passo, lo sviluppo di quest'opera-omaggio al padre firmata da Daniel Rosenfeld. Stiamo parlando di 'Piazzolla, la rivoluzione del tango', documentario sul grande compositore argentino distribuito da Exit Media e che l'11 marzo, nel centenario della nascita del musicista, prevede in diretta streaming un incontro tra l'ambasciatore argentino a Roma, Roberto Carlés, e il regista. Che cosa fa vedere questo documentario dall'impianto classico? Racconta l'avventurosa vita dell'inquieto Piazzolla, riformatore del tango, con tante immagini di repertorio e, soprattutto, con materiale inedito fornito dalla famiglia. Su tutto decine di cassette audio in cui lo stesso virtuoso del bandoneon si racconta in prima persona in un'infinita intervista fatta dalla figlia Diana. E tutto questo dall'inizio, ovvero dalla sua nascita con un difetto al piede destro (che richiese ben sette operazioni) e che gli causò un complesso per tutta la vita (non sopportava di avere una gamba più sottile). Racconta poi di quella sua rivoluzione della musica argentina classica che gli provocò non pochi nemici nella suo Paese ("Negli anni Sessanta dicevano addirittura che non facevo tango"). Insomma, e questa è una vera novità, in questo docu per la prima volta vengono aperti al pubblico dal figlio Daniel gli archivi del leggendario bandonéonista: tante fotografie, nastri vocali e riprese in super8. In 'Piazzolla, la rivoluzione del tango' scorrono così le immagini dell'infanzia a Manhattan con il padre Nonino (a cui dedicherà, alla sua morte, 'Adios Nonino'), uomo pieno di carattere che lo educò a musica e vita. Si vedono poi i primi passi di Piazzolla con i più grandi musicisti di tango dell'epoca; la sua passione per la pesca (in particolare la caccia agli squali); il Nuevo Tango, mix originale di tango e jazz che nasce con Libertango (album del 1974). Non mancano poi l'iniziale, ma mai davvero superato, rifiuto della sua musica da parte dei puristi del tango, i suoi continui e coraggiosi spostamenti (tra cui anche quello in Italia negli anni Settanta in cui collaborò con Mina) alla ricerca del riconoscimento e, infine, il rapporto con la famiglia non sempre facile. Va detto, infine, che Piazzolla era nato a Mar de Plata nel 1921 da una famiglia di origini italiane emigrata in Argentina: Vicente Piazzolla (chiamato "Nonino") originario di Trani, e Assunta Manetti, la cui famiglia invece proveniva dalla Toscana. "La sua 'tanguedía' penetra nel cuore - dice il regista - ed è stato proprio questo il mio primo contatto con lui quando da giovane suonavo il pianoforte. Ero un bambino pianista e mi piaceva suonare 'La mort de l'ange' o 'Adios Nonino'. In fondo, credo che la malinconia abbia una sorta di origine segreta che risale all'infanzia e si manifesta in un certo momento della vita. Per me quel momento è stato il bandoneón di Piazzolla. Non volevo però fare semplicemente 'un film sulla vita o la musica di Piazzolla', ma concentrarmi sui principali eventi biografici e musicali non in modo 'anonimo', ma con una narrazione 'sensoriale'". Frase cult: "La mia musica è triste perché il tango è triste. Il tango ha radici tristi e drammatiche, a volte sensuali, conserva un po' tutto... anche radici religiose. Il tango è triste e drammatico, ma mai pessimista".